Ciro e il fido Gabbiano…


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Pasquale Raicaldo – A volte, l’uno cerca l’altro: rincorrendolo, da San Montano a San Pancrazio. La scia del gozzo diventa una traccia, il sorriso dell’uomo è una merce più preziosa del banchetto di pesce, regalo assicurato. Perché questa è la storia di un p

pescatore e di un gabbiano e della loro decennale amicizia.
E se pensate che sia solo un rapporto interessato – l’uccello che volteggia alla ricerca di una barca, di sardine e alici, di calamari e orate – potete anche fermarvi qui.Lui, Ciro Di Scala, è Ciro «Penniello», come da soprannome d’ordinanza: le rughe sul volto scavato dal tempo e dal mare raccontano di una vita intensa. Esistesse un Hemingway, oggi, su quest’isola dove si intrecciano storie di terra e storie di mare, non faticherebbe a intravedervi la traccia di un romanzo.
L’altro è un gabbiano, sempre lo stesso. Da dieci anni, forse qualcosa in più. Si sono scelti, lui e Ciro. E si sono piaciuti, da sempre. «Mi riconosce, altroché. E mi fa la festa, avvicinandosi, salutandomi, facendomi la festa. Accompagnandomi, sulla spalla o sul piccolo angolo che gli ho preparato sul mio gozzo. Tutto per lui».
E’ una storia romantica, questa. Una storia che tutti conoscono, in quest’angolo di isola che resiste alla globalizzazione e che vive un rapporto intenso e simbiotico con il mare. Pescatori dai volti scavati, vecchi e giovani depositari di una tradizione che non muore ma che – certo – è in difficoltà. «Una volta era diverso. – ci racconta Ciro – Si tornava con le barche cariche di pesce. Lo hanno saccheggiato, questo mare, e siamo stati incapaci di proteggerlo». Lui lo solca tutte le notti e al mattino, quando torna sulla punta estrema della riva destra – non quella dei ristoranti chic e della passerella coi tacchi a spillo – lo accoglie un branco di famelici gatti colorati. Miagolano, agognando gli scarti del pesce che Ciro non lesina, e che per loro – questo scomposto gruppetto di mici spelacchiati eppure bellissimi – è un pranzo da leccarsi le vibrisse. «Con gli animali ho un rapporto particolare, da sempre. Si instaura una sorta di sintonia, difficile da spiegare con le parole». Non andate oltre, nella lettura, se pensate che quei gatti siano lì sono per quelle prelibate lische, tra una bitta e l’altra, e non perché conoscano Ciro, come e più di tutti, qui, tra questa sparuta rappresentanza di sopravvissuti, i pescatori di Ischia.

Poi, certo, c’è la storia del gabbiano. Che tra tutte è senz’altro la più singolare. Perché a lui sembra quasi naturale, che un gabbiano – lo stesso, con tanto di anello di riconoscimento sulla zampa destra – abbia scelto di trovarsi un amico umano, una storia degna di Walt Disney nascosta tra le pieghe di un’isola vera e genuina, che corre parallela a quella delle boutique e dei social network. Ma ci sono rette parallele che non si incontrano mai, ed è un vero peccato che Ischia fatichi a capire il valore aggiunto di storie come questa, che è un privilegio raccogliere e raccontare. 
«Qualcuno mi sfotte – ci racconta Ciro – e tra i colleghi ‘sta storia del gabbiano ha creato, sapite, anche nu poco ‘e invidia. E allora c’è chi mi dice, scherzando: accuorto, che mo te lo ammazziamo, quel gabbiano. S’avisseno permettere».
Perché poi, come per tutte le amicizie che si rispettino, quasi che sia un particolare di poco conto la natura dell’uno, umana, e quella dell’altro, animale, gli anni sono passati per entrambi. Con percorsi di vita tortuosi, storie e vicende complesse, compagne e figlie, famiglie da mantenere. «Ogni tanto, il “mio” gabbiano mi porta a vedere la sua famigliola. Lui, vabbè, è di casa sulla mia barca. Arriva, mi saluta, ci facciamo la festa. Poi, arriva l’ora del pesce. E io lo sfotto: “Nun ce sta niente” (e gesticola, linguaggio universale che ci piace immaginare comprensibile anche dagli animali, n.d.r.)». L’uccello svolazza intorno con disappunto, quasi a cercare l’inghippo. Che esce, puntualmente. E allora, ecco l’amicizia – non è forse, anch’essa, una regola universale – si traduce nel mutuo soccorso, nello scambio di doni. E per l’amico a due zampette, e la sua famigliola che lo segue a distanza, arriva una dose prelibata di pesce. Altro che scarti. «Lui prende il mio omaggio e lo divide con i piccoli. E’ una vera e propria scena di vita familiare, a cui ho il piacere di assistere». In mezzo al mare.

 «Capita, qualche volta, che non ci si incontri. Ma è il caso sporadico di una giornata, una deviazione dalla quotidiana certezza di cercarci, io e lui. Di trascorrere del tempo insieme». Non è l’unica storia in cui il rapporto tra un uomo e un animale diventa viscerale e profondo. Chi scrive ha visto Salvatore deprimersi per la balorda fucilata che colpì Leon al muso, privandolo degli occhi, e girare l’Italia con la passione di chi ama un golden retriever come se fosse un figlio. E ha compreso come tra Katia e i suoi delfini, quelli che popolano il canyon di Cuma, esista qualcosa di vero e profondo, un sesto senso che val più di mille idrofoni. Ma questa storia, la storia dell’amicizia tra Ciro «Penniello» e il gabbiano, ha un che di unico. Ne danno traccia persino gli album di famiglia, dove – tra feste di compleanno e Natali felici, insieme con la moglie Anna, le figlie Nunzia, Mariangela, Silvana e Claudia e una ciurma di nipotini che adora  – compare puntuale anche lui, l’uccello, neanche fosse uno di casa, né più né meno degli amici che affollano la sede dell’Anmi di piazza Antica Reggia raccontandosi a vicenda storie di mare e di passione, pericoli scampani e spaventose burrasche, mentre l’immancabile briscola fa da collante tra le generazioni, sempre di meno i giovani che s’affacciano al mare, sempre più ardua l’impresa di sopravvivere di nasse e ciancioli. Rifuggendo alla tentazione di andare via, magari imbarcandosi. 

Ogni tanto, certo, capita la pescata d’antologia, e del resto il mare è soprattutto questo: un intreccio di storie e di orgoglio, di calamari giganti e tonni, un eterogeneo caleidoscopio di riti scaramantici e saperi scientifici. Di storie da raccontare ai nipotini, come quella volta che nella rete di Ciro ci finì un delfino. «Ruppi tutto, e lo liberai. Era bellissimo». Figurarsi: l’amico degli animali, avrebbe potuto fare diversamente?
Ma il futuro, per Ciro e per chi segue le sue orme, è un’incognita, né l’Area Marina Protetta che ingloba lui e il gabbiano ha saputo sin qui proteggerli da un futuro che sa di globalizzazione. 
Ed è forse questa la sfida più meravigliosamente intrigante per chi ha realmente a cuore le sorti del mare che bagna l’isola d’Ischia e di cui si nutre, con le storie di cui è collante, il vero turista: salvare Ciro, salvare il gabbiano, salvare il nostro mare.

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