Il ricordo di Nonno nell’articolo di Benedetto


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Pasquale Nonno odiava i “coccodrilli”, che, nel senso giornalistico, sono quei necrologi scritti in anticipo, spesso infarciti di retorica, che ogni redazione conserva nei suoi archivi per non farsi trovare impreparati dalla dipartita di qualche personaggio famoso. Per questo non posso scrivere un “coccodrillo” di Nonno, che invece amava i gatti. Forse perché il gatto racchiude in sé il lato istintivo della natura, e Pasquale valutava fatti e persone soprattutto d’istinto, perché “ fiutava” il vero dal falso, la finzione e l’ipocrisia dal genuino. E, il nostro fu un rapporto “genuino”, forse perché “o’ direttore” amava Ischia, il “premio” e adorava soprattutto noi napoletani. A Ischia, Pasquale Nonno era conosciuto come “o’ direttore”, essendo stato per quasi un decennio, il direttore del più importante quotidiano del Mezzogiorno, “Il Mattino di Napoli”. L’ho conosciuto nel periodo più cupo della mia vita: quella della malattia di mio padre e della sua scomparsa. Lo ricordo bene, quando nel giorno del funerale di mio padre, venne, di buon mattino a casa mia, accompagnato da Ciccio Bufi. Quella mattina portò con sé il mio primo contratto di lavoro, un articolo 12 come corrispondente da Ischia. Era il 19 settembre 1988: mancava solo una settimana dalla cerimonia di consegna del Premio Ischia. Al funerale, mi prese da parte e mi disse: “chesta è a vita: mò tocca a te” e mi consegnò il contratto. Ero spaesato, come se il mondo mi fosse crollato addosso, e ritenni quel gesto come un atto di vicinanza e di umanità in un momento di grande dolore. Non avevo fatto molto per meritarmelo e ciò mi spronò a considerare “Il Mattino” un po’ come una famiglia. Da quel momento ho sempre avuto nei confronti di Nonno un atteggiamento di rispetto e quasi di timore assoluto, anche se con i suoi baffi e quell’aria sornione mi ricordavano più un personaggio della commedia di Guareschi che un severo “direttore”. Anche per questo mi risultò sempre simpatico. Pochi giorni dopo il premio telefonò a casa, invitandomi ad un appuntamento con Biagio Agnes: “ dobbiamo far fare un salto di qualità al premio e Biagio è l’uomo adatto”. Al molo Beverello mi fece “prelevare” da Gabriele, il suo autista, che venne a prendermi con un’ auto blu. Era la prima volta che salivo su un’automobile istituzionale e, per darmi “il giusto contegno”, mi sedetti nel sedile posteriore rivolgendomi sempre con il “Lei d’ordinanza” al buon Gabriele. Poi, quando salì “o’ direttore” iniziai spontaneamente a dargli del “Voi”. E lui, subito mi retarguì: “ma come a Gabriele dai del “Lei” e a me del “Voi”? E’ spagnoleggiante, molto napoletano…. per questo mi piace”. Risposi prontamente: “Si, Direttore mi scusi, ha perfettamente ragione, è il mio retaggio “spagnolo”. Per noi napoletani il “Voi “ è più importante del Lei.” Non gli ho mai confessato che mio nonno “repubblichino” e fascista, anche quando ero giovanotto, mi “sgridava” se usavo il “Lei”. Era un retaggio più “fascista” che “spagnolo”, ma non ebbi mai il coraggio di confessarglielo, ben conoscendo la sua opinione sulla “destra”. La “grande avventura” del “nostro” Premio Ischia inizia così, perché in quell’occasione decidemmo che Biagio Agnes doveva essere il Presidente del premio per i prossimi anni, anche se la vera “anima” restava sempre Nonno che dettava la “linea politica”. Con “o’ direttore” nacque un rapporto di vero e sincero affetto: il sabato, quando si “ritirava” a Forio per riposare, andavo spesso a casa sua. Una mattina d’agosto telefonò di nuovo, chiedendomi di accompagnarlo da Giorgio Napolitano che villeggiava, stranamente, a Ischia (normalmente preferiva Capri). Durante il viaggio mi fece una “lezione” di politica, cercando di spiegarmi perché la DC e il PCI , prima o poi, dovevano trovare una sintesi e perché la corrente “migliorista” aveva un ruolo strategico negli assetti istituzionali italiani. La conversazione tra Nonno e Napolitano la terrò sempre fissa in mente, così come non potrò mai dimenticare le giornate del premio con Spadolini, Andreotti, Montanelli e gran parte dei protagonisti della vita politica e del giornalismo italiano che giunsero a Ischia grazie al suo impegno. Era la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, quelli dell’opulenza e del benessere per tutti. Il nostro rapporto non s’inclinò neanche quando rifiutò di assumermi. Ciccio Bufi, storico segretario di redazione e del premio che conoscevo dai tempi di Roberto Ciuni, mi comunicò che il Mattino doveva procedere ad una serie di assunzioni a tempo indeterminato. Iniziai così a frequentare la redazione distaccata di Arco Felice, diretta da Franco Mancusi, “infilandomi come abusivo” insieme a Scamardella, Vastarella e altri giovani amici. Pasquale Nonno lo venne a sapere e mi convocò “ad horas” nel suo ufficio al terzo piano di Via Chiatamone. Il colloquio durò pochi minuti: “Valentino, tu hai ottime capacità politiche, delle giuste intuizioni e fai analisi corrette, ma io non sono un leader politico. Se fossi invece Romanazzi o Caltagirone ti assumerei subito come manager perché hai dimostrato di saper gestire le risorse del premio e di saper organizzare le persone. Ma, sono il direttore de “Il Mattino”, e come giornalista, non ti assumo. Ci sono ragazzi più preparati e che lavorano da più tempo. Buona Giornata.”Lo salutai senza stringergli la mano e – confesso che – quando scesi le scale del palazzo del Mattino fui tentato di tornare indietro e sbattere la porta, ma non lo feci e mantenni il giusto aplomb. Tornando a Ischia, sul traghetto, iniziai a riflettere sulla sua frase e capii il suo spirito: “evidentemente – pensai – lavorare come giornalista non è nel mio destino.” Poche settimane dopo fondai la casa editrice e la mia prima agenzia di comunicazione ed eventi. A distanza di anni compresi che Nonno mi aveva indicato la strada giusta: guadagnavo di più come imprenditore che con lo stipendio di giornalista. Poi venne “Tangentopoli” e nulla fu come prima. Pasquale lo capì subito, anticipando tutti, dalle colonne del “Mattino”. Scrivere la verità e difendere le proprie opinioni ha sempre un costo. Un prezzo che forse Nonno ha pagato in modo troppo amaro. Poi il resto della storia lo conoscete tutti: una terribile malattia ci ha sottratto la sua capacità di analisi e di sintesi, ma soprattutto ci ha portato via un fratello maggiore, severo ma sempre affettuoso e comprensivo. Caro Direttore, sarà un caso, ma quando incrocio lo sguardo sornione di un gatto mi ricordo sempre di “Voi” e penso come Vi state divertendo, da lassù, con la “cronaca politica” di questi anni.

 
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